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Cultura
La Farmacia degli Incurabili
ed il museo di arti sanitarie - 2
di Achille della Ragione
Una magistrale descrizione di tale museo è stata redatta dal mio fraterno amico Dante Caporali, per il II tomo della mia raccolta: Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli, a cui cedo la parola per la seconda parte di questo lavoro.

Una gradita sorpresa del Maggio dei Monumenti 2010 è stata l’apertura del Museo delle Arti Sanitarie dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli. 

Inserite nel ritrovato sito del Collegio delle Convertite le prime due sale, che rappresentano soltanto un nucleo iniziale di un futuro Museo di Storia delle Arti Sanitarie, sono intitolate a due importanti esponenti della Scuola Medica Napoletana: Domenico Cotugno (fig. 10), anatomista, ricercatore e rettore dell’Università Partenopea, e Domenico Cirillo (fig. 11), medico e patriota della Rivoluzione del 1799.

Gli oltre cento oggetti, raccolti con pazienza da appassionati medici ed operatori sanitari dell’Ospedale, ci sorprendono per la loro bellezza e per la qualità dei materiali con cui furono forgiati da esperti artigiani per i tanti medici che si avvicendarono nell’arco di quasi cinque secoli nelle corsie di questo complesso, dove tra l’altro fu fondata la prestigiosa Scuola Medica Napoletana.

Strumenti chirurgici (fig. 12 - 13), sedie operatorie (fig. 14), macchine anatomiche in cartapesta (fig. 15), stampe mediche e antichi manoscritti (fig. 16), farmacie portatili (fig. 17), microscopi, set per salassi, forcipi e clisteri d’epoca ci aiutano a ripercorrere la storia e l’evoluzione delle scienze mediche che vide questo Ospedale sicuro protagonista, che vanta altresì il primato della prima pratica anestetica realizzata in Italia.

La visita del Museo inizia dalla Sala Cotugno, accolti dall’austero sguardo di Domenico Cotugno, raffigurato nel busto marmoreo settecentesco dello scultore Angelo Viva, valente allievo di Giuseppe Sanmartino.

In questa sala l’oggetto che immediatamente attira la nostra attenzione è un’antica sedia operatoria ottocentesca in ghisa imbottita di velluto, che ci atterrisce alquanto se ripensiamo alle pratiche operatorie di un tempo, illustrate da eloquenti pannelli, dove quell’aggeggio e le braccia umane “aiutavano” a trattenere il malcapitato paziente che si dibatteva con analgesia abbastanza precaria.

Un’altra serie di oggetti interessanti è costituita dai bollitori per la sterilizzazione, tra i quali la pentola di Papin, un recipiente a pareti robuste chiuso ermeticamente da un coperchio con valvola di sicurezza, nel quale l’acqua bolle ad una temperatura anche superiore ai 100 °C.

Troviamo poi in altre vetrine un apparecchio per asfissia, una farmacia portatile appartenuta a Domenico Cotugno, un cauterio del ‘700, strumento chirurgico per eseguire bruciature terapeutiche, un astuccio portatile in pelle sempre del ‘700 con tutto il necessaire per operazioni chirurgiche, come bisturi, forbici e rasoi, questi ultimi da sempre presenti nell’armamentario del chirurgo per ricordare che la nobile arte è nata dall’antenato barbiere-cerusico.

Chiude l’esposizione della prima sala un antico manoscritto del ‘600 ed una serie di accuratissime stampe anatomiche provenienti dalla collezione dell’Ospedale, realizzate sotto la guida del prof. Falcone, anatomista dell’800. Questi disegni a mano fin dal ‘500 costituivano il più antico mezzo di comunicazione per la formazione e spesso venivano eseguiti in sala settoria e colorati a mano dagli allievi.

Continuando la visita si attraversa un corridoio dove prosegue l’esposizione delle stampe anatomiche e si entra nella Sala Cirillo dove è presente un busto bronzeo di Domenico Cirillo e siamo subito colpiti da uno scenografico allestimento lungo lo scalone dell’antico Monastero delle Convertite.

Alla sommità dello scalone troneggia di spalle una macchina anatomica settecentesca in cartapesta (fig. 18), un poco simile a quelle famose del principe Raimondo di Sangro della Cappella Sansevero, ma molto più dettagliata nei particolari.

Poi vi è una composizione del noto scultore napoletano Lello Esposito intitolata Metamorfosi e che rappresenta una sorta di Pulcinella in decomposizione con un enorme ratto nero su di una spalla ed un uovo all’interno. La scultura simboleggia il proliferare della peste del 1656 a Napoli a causa dei ratti che trasportavano le uova di cimici, principale veicolo di trasmissione della terribile malattia.

Infine ai piedi dello scalone una macchina protettiva per la peste, il famoso becco indossato dai medici, contenente filtri e balsami odorosi per contrastare l’aria corrotta che diffondeva il contagio attraverso invisibili particelle.

Una bacheca è dedicata all’ostetricia con tazze per puerpere (fig. 19), una delle quali con impresso lo stemma dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, dediti da sempre all’assistenza ospedaliera, un tiralatte, uno dei primi biberon in vetro e poi una serie di forcipi con antiche stampe relative al parto.

In un’altra bacheca troviamo invece un set per salasso con apposito recipiente in peltro utilizzato durante questa pratica, alcune lancette per salasso con manico in tartaruga ed un interessante coltello a tre funzioni impiegato per il salasso, per provocare la rottura delle acque e per la cauterizzazione.

Di grande interesse sono poi gli strumenti per litotomia, qualcuno risalente addirittura al ‘500, utilizzati durante gli interventi di chirurgia urologica per l’asportazione dei calcoli.

Accanto a vari tipi di sete e garze sterilizzate per suture vi è poi un set portatile con rasoi e seghe impiegato dai barbieri-cerusici che viaggiavano durante le guerre al seguito delle truppe, pronti ad intervenire con amputazioni di arti per evitare pericolo di cancrena.

Infine assieme ad un antico microscopio e ad una rudimentale maschera per anestesia vi è una intera vetrina con clisteri di vario tipo, sia professionali che per uso personale, e bustine di tabacco, quest’ultimo usato come stimolante però con cautela, pena gravi complicazioni che potevano portare fino al decesso.

La terza sala è dedicata al professor Giuseppe Moscati, il medico santo, primario dell’Ospedale degli Incurabili, che indagò, tra le altre cose, sulla coagulazione e sulle modalità di somministrazione dell’insulina. Esposte alcune delle sue relazioni necroscopiche che rappresentano uno spaccato interessante ed innovativo della metodologia clinica del Novecento. La sala, ricostruita come uno studio medico dell’epoca, è tappezzata da ricette mediche (fig. 20) che sottolineano il forte rapporto e la straordinaria empatia che il medico campano riusciva a creare con i suoi pazienti.

La quarta sala è occupata da opere ispirate al complesso rapporto tra mente e corpo che l’arte medica ha da sempre studiato e cercato di interpretare.

Vogliamo concludere il capitolo con un breve cenno ad una mostra che si tenne nel museo sull’antico mestiere del cavadenti, di cui parlai in un articolo: Napoli capitale delle arti sanitarie consultabile in rete digitandone il titolo.

Proprio in questi giorni in questa splendida struttura ospitata nelle sale dell’ospedale degli Incurabili vi è una mostra sul mestiere del cavadenti tra arte, medicina e “torture”.

Chi entra in uno stato d'ansia al solo pensiero del dentista, dovrebbe invece provare sollievo immaginando quello che avrebbe dovuto affrontare se si fosse vissuto qualche secolo o anche qualche decennio fa. Oggi ce la caviamo con anestesie locali e antibiotici ma un tempo le estrazioni dentarie erano appannaggio di barbieri (nelle vesti di chirurghi), di cerusici ambulanti e persino di veri e propri ciarlatani che, dopo aver stordito il malcapitato con un bel bicchierino di alcol, poi interveniva spesso peggiorando la situazione.

La lugubre fama del cavadenti (fig. 21) ha avuto la sua diffusione anche a Napoli e si ripercorreranno le tappe principali di questa storia nella mostra «Il cavadenti. Percorso museale nella storia dell'odontoiatria e dell'odontotecnica».

«Un'esposizione senza precedenti nel suo genere» la definisce Gennaro Rispoli, fondatore e direttore del museo, «che offre al visitatore la possibilità di godere del racconto, caratterizzato da un tono divulgativo e a tratti ludico, dell'incredibile storia della cure rivolte alla dentatura degli uomini, dal Seicento al Dopoguerra».

Gli Incurabili come luogo di questa esposizione non è stato scelto a caso, perché è proprio nella cittadella sanitaria di Caponapoli, dedicata alla cura dei malati sin dal Medioevo, che alcuni protagonisti della storia della medicina, come Filippo Ingrassia e Marco Aurelio Severino, hanno riconosciuto per primi una dignità scientifica a quella che fino ad allora era una pratica considerata di secondo piano. Sempre agli Incurabili, poi, un altro luminare della medicina, Domenico Cotugno, alla fine del '700 si interessò ai nervi mandibolare e linguale e alla relazione esistente tra il dolore al dente e quello all’orecchio.

E del resto proprio a Napoli, quasi un secolo prima, nel 1632, il barbiere Cintio d’Amato aveva pubblicato il “Nuova et utilissima prattica”, ossia il primo libro in lingua italiana in cui la materia odontoiatrica è trattata in maniera molte estesa indipendentemente dalla medicina generale e dalla chirurgia, affrontando soprattutto gli aspetti igienici ed estetici, compresi i suggerimenti per il trattamento delle gengive e il modo di mantenere i denti bianchi e senza tartaro.

Ma Napoli detiene altri primati, anche più recenti, nell’ambito della cura dei denti: qui nel dopoguerra si insegnò per la prima volta in Italia la chirurgia maxillo-facciale, mentre nel 1957 partì la prima vera campagna di igiene orale senza precedenti nel resto del Paese.

Ma ciò che colpisce di più è la mostra, con l’esposizione inedita degli strumenti un tempo utilizzati dal dentista. Grazie alla ricchissima "Collezione Gombos" è possibile osservare - con un misto di terrore mettendosi nei panni di chi ha avuto mal di denti prima di noi, ma anche di sollievo per averla scampata bella - centinaia di pezzi tra macchinari d'epoca, antichi ferri per estrazione, attrezzature rare, campioni di caucciù usati un tempo come resina per le protesi, vecchie stampe, fotografie, libri e, ovviamente, denti di ogni foggia e provenienza.

«Certi ferri del mestiere erano di una brutalità incredibile» sottolinea Fernando Gombos, «basti pensare al pellicano, uno strumento che si inseriva tra le radici da estrarre e, facendo leva sul mento o sui tessuti circostanti, strappava letteralmente il dente, immortalato in un dipinto del sommo Caravaggio (fig. 22). Oggi è una passeggiata, le nostre paure di andare dal dentista sono solo un retaggio culturale».

11/6/2021
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