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Se per i disastri di Napoli la natura non ha colpa
di Ernesto Mazzetti (da: il Mattino del 18.11.2019)
Che sofferenza guardare immagini del disastro di Venezia: l’acqua dilagante in San Marco e in ogni luogo d’arte e vita che in una secolare storia urbana troppo poco venne elevato rispetto al livello della laguna, scenario meraviglioso quanto infido.

Puoi leggerlo, questo drammatico evento climatico, perfino come metafora della condizione politica ed economica dell’intero Paese. Si gonfia il livello della disunità d’intenti tra uomini e schieramenti cui dipendiamo per il nostro futuro.

Sprofonda tra crisi di apparati industriali, anzitutto l’Ilva, ogni prospettiva di ripresa d’un percorso di rianimazione del sistema produttivo sul quale confidare per l’avvenire dei giovani, sulla serenità dei più anziani.

C’è l’acqua che s’innalza dal mare; e l’acqua che cade dal cielo. Guardo al maltempo che in queste settimane ha bruscamente interrotto dalle nostri parti l’insperato prolungarsi d’una bella stagione di sole e mare. Giorni di pioggia e temporali.

Nulla a che vedere, s’intende, con calamità come quella di cui fa le spese Venezia; che affliggono altre città e contrade settentrionali da ovest ad est. No, qui in Napoli e Campania le piogge, pur intense, e il pur violento soffiare di libeccio e scirocco, poco si discostano dai valori consueti al periodo, in questa fascia geografica.

Eppure non passa giorno che non tocchi registrare effetti perniciosi nel regolare funzionamento delle strutture e delle dinamiche urbane.
In Napoli ed area metropolitana l’acqua sprofonda, s’infiltra, corrode. Impietosamente rivela come strade centrali e periferiche, da Posillipo ai Ponti Rossi, da Casoria a Giugliano, siano soltanto nastri d’asfalto e pietrame malamente distesi su un sottosuolo indebolito da cavità mai ben risanate.

Onde voragini inghiottono automezzi, minacciano fondamentavdi palazzi. Seppur non s’insinua nel sottosuolo, la pioggia rende ancor più sconnesse superfici viarie già butterate da buche.

Disintegra pavimentazioni di marciapiedi. Ferma treni ed autobus. Insidia solai di edifici pubblici. Deteriora ancor più le decine di chiese abbandonate a degrado e scorrerie rapinose.

Induce a chiudere le scuole per più giorni,ncon disagio di alunni e genitori: precauzioni evitabili se non fossero state costantemente disattese banali opere di messa in sicurezza.

Basta poco perché la gestione del sistema-città mostri tutte le sue crepe. Anche opere recenti denunziano col maltempo sciatterie di esecuzione e disattenti collaudi.

All’eccesso d’acqua piovana si contrappone l’inaridirsi delle fontane pubbliche: il Comune moroso interrompe ogni zampillio trasformando in sversatoi di rifiuti monumenti ricchi di storia.

Ma la mente del sindaco de Magistris è volta ad altre questioni. Vuole blindaremla sua permanenza in Palazzo San Giacomo per l’anno e mezzo che - malauguratamente per Napoli - ancora gli rimane. Affida all’ennesimo “rimpasto” di assessori la difesa da possibili mozioni di sfiducia.

Vecchio sistema: mai negare una poltrona a chi possa dargli un voto. Liberarsi di chiunque non sia prono a sue effimere trovate, o assuma visibilità che possa dar ombra alla sua.

In otto anni di governo ha sacrificando stimabili persone, alcune ricche di esperienze politiche e professionali. Senza dubbio colpevoli, nella pur generosa illusione di far cosa utile a Napoli, d’aver dato credito a lui e ad un’amministrazione dannosa più che disutile.

È il caso di Nino Daniele, uscente assessore alla cultura: già vice presidente della Regione, sindaco di Ercolano, sostenitore di iniziative apprezzabili nel corso degli ultimi anni. Estromesso per far posto a tale Eleonora De Maio, espressione di Insurgencia, uno dei “centri sociali” cari al sindaco, già nota per farneticanti accostamenti tra nazismo ed Israele.

Ha creduto di emendarsene proponendo la cittadinanza onoraria di Napoli alla senatrice Liliana Segre, superstite della Shoah. Ne ha ricevuto l’ovvio diniego, espresso con una signorilità della quale escludo fosse lei meritevole.
 
Contro la cacciata di Daniele c’è stata ampia levata di scudi d’intellettuali e professionisti. Se n’è però dissociato Massimiliano Virgilio, autore d’un premiato romanzo in cui si parla di camorra,musurato tema per chi scrive di Napoli.

Tali solidarietà ha ritenuto eccessive, giudicando la sostituzione un modo per abbandonare la “Napoli bene” e guardare “alle periferie, ai giovani, al sociale”.

Opinioni.
Ma dubito che la cultura possa declinarsi come assistenza sociale. Ai giovani, d’altronde, pare guardi lo stesso de Magistris pensando alla propria successione.

Corre il nome di Alessandra Clemente, assessore a patrimonio, polizia municipale, lavori pubblici; in passato anche delega alla “rinascita”. Tanti gli impegni; non pari i risultati.

Cresce il deficit, il traffico impazza, i lavori sono fermi. Della rinascita è meglio tacere. Al suo viene contrapposto ora il nome della De Maio. Improbabile che l’uscente abbia forza politica per imporre un sindaco di sua scelta. Ma non lo riterrei motivo di rammarico.
20/11/2019
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