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Luciano De Crescenzo, l’ultima voce di Napoli
di Mimmo Carratelli (da: Corriere dello Sport del 19.07.2019)
S’è spenta l’ultima voce di Napoli. S’è spento, a Roma, Luciano De Crescenzo, la voce della cultura e dell’ironia di Partenope. Avrebbe compiuto 91 anni il 18 agosto prossimo. Un luciano per nascita, napoletano di Santa Lucia, come Carlo Pedersoli-Bud Spencer.

Sono nato fortunato – diceva. – Mi sono svegliato e ho visto il mare e il Vesuvio”. Un napoletano sotto le reali spoglie del professore Bellavista che ha raccontato e svelato Napoli con voce lucida, da greco-napoletano, e con voce accattivante, da delizioso conversatore partenopeo.

I suoi cinquanta e più libri tradotti in ventuno lingue, ma soprattutto gli aforismi, che dispensava con quella sua voce da elegante malandrino affascinatore, sono stati come Luciano definiva i sorsi del caffè, “brevi, gustosi, capaci di salire sino nelle vicinanze del cervello e fargli un po’ di sano solletico”.

L’ingegnere-filosofo, dirigente della IBM per vent’anni, dopo essere stato allievo del matematico Renato Caccioppoli, diceva che si può stare comodamente e con soddisfazione in un ufficio, ma bisogna riservarsi sempre una via di fuga.

Luciano scappò dai calcolatori elettronici verso la sua fantastica via di fuga, la grande passione per la filosofia greca sino a farne la forma e la sostanza di tutto il suo scrivere.

Affabulatore delizioso, negli ultimi anni, perdendo un po’ la memoria, si presentava dicendo “Non so chi sono” e consegnava il suo biglietto da visita. Uno scherzo cosciente.

Le sue conversazioni mobilitavano dovunque una folla straripante di ammiratori, autentici suoi tifosi. Ha raccontato l’anima di Napoli con una soavità unica, addolcendone ma non negandone i difetti.

Di Napoli ha scritto: “Quella che dico io, non esiste come città, esiste sicuramente come concetto, come aggettivo. Alla fine penso che Napoli è la città di Napoli che conosco e che dovunque sono andato nel mondo ho visto che c’era bisogno di un poco di Napoli”.

Seduttore amabile da napoletano biondo di affascinante aspetto, tombeur de femme, di cuori, anime, menti, di lettori e di autentici seguaci.

Se i suoi libri catturavano per l’apparente semplicità, mentre erano veri e profondi, le sue conversazioni erano la tela suggestiva con cui incantava e imprigionava l’uditorio, sapientemente padrone delle pause e delle battute ad affetto, trascinando tutti e sempre a un fragoroso applauso, l‘omaggio sonoro alla sua ammaliante vulgata orale.

I libri, la sua passione. “Alla tv preferisco sempre un buon libro, a meno che la tv non trasmetta la partita del Napoli”.

Il 10 maggio 1987, il giorno del primo scudetto della squadra azzurra, si travestì da fotografo per essere sul campo al San Paolo.

Tifoso azzurro di lunga data. Ha raccontato: “Avevo nove anni e mio padre mi portò all’Ascarelli a vedere Napoli-Ambrosiana. Perdemmo all’ultimo minuto e iniziai a piangere disperatamente.
In quel momento realizzai che ero un tifoso del Napoli e così è sempre stato e sempre sarà, una sofferenza genuina
”.

Aneddoto delizioso, non sostenuto dai reali risultati del Napoli contro l’Ambrosiana in quegli anni.

Al tifoso napoletano, accusato d’essere lamentoso e vittimista, ha consigliato: “Rivolgo ai tifosi lo stesso invito che i napoletani fecero a San Gennaro quando la Chiesa di Roma mise in dubbio la sua esistenza: futtatènne”.

Ha anche scritto: “Il tifo è sentimento, è la più alta forma d’amore che un individuo possa provare. Il tifoso potrà cambiare moglie, amante, partito politico, ma mai la squadra del cuore”.

E ai tempi di Diego fece dire a Bellavista: “San Genna’, non ti crucciare, tu ‘o ssaje te voglio bene, ma ‘na finta ‘e Maradona squaglia ‘o sanghe dint’’e vene”.

Del pibe ha scritto: “Maradona è il genio assoluto, un Achille dei nostri giorni, con il suo coraggio e i suoi punti deboli”. Ha raccontato: “L’ho conosciuto quando ero ingegnere, però non ci fu molto dialogo, forse non destai il suo interesse”.

Luciano De Crescenzo è stato uno dei cronometristi alle Olimpiadi 1960 di Roma fissando il tempo da record mondiale sui 200 metri di Livio Berruti, ventunenne, che correva con gli occhiali da sole.

Negli ultimi tempi andava fiero di uno dei suoi libri più recenti, “Non parlare, baciami”, perché i ragazzi erano rimasti affascinati di come gli aveva “spiegato” l’amore e la filosofia.

Ha “spiegato” tutto, Luciano De Crescenzo, nei suoi libri, con la grazia dello scrittore popolare per la chiarezza e la spontaneità, ma profondamente colto. Come sa esserlo un napoletano, capace di auto-ironia.

È apparso in film e tv con la leggerezza di un uomo che portava il sorriso come personalissimo e seducente optional.

Ci mancherà molto. Mancherà molto a Napoli il cantore ironico dell’anima napoletana.

Il sorriso di Luciano è il sorriso stesso di una città, popolo, gente che sa aprire sempre il cuore al mondo, che altro non c’è dopo che, ogni volta, è passata la nottata.

19/7/2019
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