Calcio
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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 157
di Mimmo Carratelli
Ci siamo raccontati una lunga storia, pibe. Le tue gioie e i tuoi dolori. Ed ora siamo alla conclusione. Perché è arrivato il giorno che aspettavamo.

E’ il 9 giugno 2005, un giovedì. E, finalmente, Diego, torni nella città che ti ama, quattordici anni dopo quell’addio del giorno di Pasqua, nel 1991.

Arrivi sulle ali dei ricordi e sul cavallo azzurro della nostra passione. Spinto, attratto, voluto da una nostalgia grande, da un affetto immenso rinsaldato nei giorni della sofferenza, da un amore che non morirà mai perché sei stato uno di noi, uno scugnizzo, fantastico e ribelle, dolce, vizioso e viziato, splendido e perduto, ritrovato, rinato, generoso, unico.

Bentornato, amigo. Il tuo viso bruno, i riccioli neri, il sorriso leale ci sono rimasti conficcati nel cuore. Splendido ragazzo di Villa Fiorito che avevi fatto del gioco del calcio una musica, una gioia, la felicità di una città intera, che avevi reso sonoro uno stadio di centomila cuori, che ci avevi incantato con le magie dei pallonetti fatati, dei dribbling di fantasia, delle sorprendenti “rabone” per conquistarci definitivamente col tuo cuore genuino.

Sfuma l’amarezza di quella tua partenza, un lunedì sera di Pasquetta, le luci spente nella casa di via Scipione Capece sulla collina di Posillipo, sotto il peso di una condanna proditoria. Ti perdemmo, tradito e ingiuriato, perseguitato, disarmato nella confessione del vizio che ti sottrasse alla nostra gioia.

Abbiamo sofferto per te, Dieguito. Siamo stati dalla tua parte perché ogni errore, peccato, violazione di regole e regolamenti li hai pagati di persona, sempre e tutti, sulla tua pelle, nella tua anima lacerata. Più che per le magie del campo, sei entrato nei nostri cuori per il destino drammatico cui ti consegnavi. Le tue sofferenze sono state le nostre, acuite dalla lontananza, dall’impossibilità di tenderti una mano, spesso senza neanche potere inviarti la carezza di un messaggio. Ma ora sei qui dopo avere vinto la partita più difficile, la partita della vita.

Stasera sarà un incontro di emozione, di mille emozioni. Le parole non potranno dire tutto quello che abbiamo serbato nel cuore per te. Uno sguardo, forse, dirà di più. Uno sguardo e un abbraccio, sussurrandoti “Dieguito”, il campione dei nostri sogni.

Se le magie sono finite, se i gol d’artista sono un’eco lontana, se le vittorie sono passate, c’è ora questa tua bella presenza fra noi che scatena i nostri sentimenti, ragazzo uscito dal buio di un tunnel che sembrava averti inghiottito per sempre. Questo speravamo: che tu, un giorno, tornassi libero e felice, sano e gioioso.

Forse, per questo hai aspettato tanto. Dovunque potevi trascinarti sotto il peso del male, mostrandoti da fare pena, un’ombra scura negli occhi una volta ridenti, umiliato il corpo di ballerino del gol. Ma a Napoli volevi tornare fiero e pulito, leggero, senza peccati. Il tempo è arrivato.

La sera dell’addio, ci avevi fatto questa promessa. Ti avevamo chiesto: non ci importa più dei gol, Diego, torna guarito, felice. Così ti dicemmo senza potere dire altro nella casa di via Scipione Capece, i bagagli già pronti, una tristezza pesante, una commozione intensa e la telefonata a mamma Tota: “Hola, madre, sto tornando”. Prometti, Diego, che ce la farai. Fu il nostro commiato.

Ce l’hai fatta. E perciò questo ritorno a Napoli dopo 14 anni ha il valore di un amico ritrovato che ha vinto la più dura partita della sua vita. La tua vittoria più grande. Così ti aspettavamo. Per questo ti vogliamo ancora più bene.

Ci vediamo stasera al “San Paolo”, il tuo stadio, per la festa di Ciro Ferrara, l’amico grande dei giorni degli scudetti.
6/6/2006
  
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