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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 80
di Mimmo Carratelli
Furono tempi di tira e molla, Dieguito snaturato. Quando sembravi all’angolo, sgusciavi come uno di quei pugili ballerini che si ripresentano all’avversario sfrontati e col match ancora in pugno. Avevi risorse incredibili di reazione e ribalderia, l’istinto di una simpatica canaglia. Come non volerti bene. Eri il nostro scugnizzo, impenitente e sfrontato.

E così, un giorno, mentre tutto era contro di te, la tua vita sbagliata, gli allenamenti saltati, le partite dalle quali venivi escluso, i deferimenti e la citazione in tribunale, ti vedemmo sul tapis-roulant della palestra che avevi attrezzato nel garage di via Scipione Capece. Il tapis-roulant era la tua passione, era l’unico allenamento che ti piaceva fare.

Sotto i fari e le telecamere di Telemontecarlo, correvi allegro sul tapis-roulant e, affannando un po’, mandavi frecciate a destra e a manca, singolari e irresistibili conferenze-stampa con quella tua faccia di eterne sfide, indimenticabile.

“Parlate tanto del lato oscuro di Maradona, questo invece è il mio lato bianco”. E mostrasti la maglietta che indossavi sotto la tuta e che era zuppa di sudore. “Domenica, se la schiena non mi dà più noie e se Bigon e il presidente vorranno, sarò in campo”.

Li avevi in pugno tutti e Moggi, al campo Paradiso, fumava nervosamente il sigaro. Loro facevano i duri. “Ci sono tutti gli estremi per punire Maradona”. “Basta parlare di Maradona, di quello che dice e fa Diego, non parleremo più di lui”. E tu rispondevi con le trovate più provocanti e irridenti. “Avevo chiesto dieci giorni di riposo perché stavo malissimo con la schiena ed è successo il putiferio”. Li facevi passare per i tuoi aguzzini, ma che avessi la schiena a pezzi era vero, a parte la vita che conducevi e l’irrinunciabile vizio della cocaina.

I cameramen di Telemontecarlo ti seguivano anche nel salotto di via Scipione Capece. “Hanno detto tutti che ero sparito, sono qua, in casa mia, sono stato a letto, ora sto meglio. La decisione di escludermi dalla partita di Bergamo non mi è piaciuta, ma siccome lui è l’allenatore non posso dire nulla. Speriamo che questo periodo negativo della squadra finisca sia che giochi Maradona o che non giochi”.

Con le parole giocavi di fioretto e, ogni tanto, usavi la spada. Nelle redazioni dei giornali vivevamo giornate convulse. Una tua sorpresa e una tua dichiarazione erano sempre dietro l’angolo.

Alla vigilia della partita con la Lazio apparisti a sorpresa a Soccavo. Era il 14 dicembre 1990. In classifica eravamo sette punti dietro la Sampdoria capolista, sei dietro il Milan e cinque dietro l’Inter. Arrivasti con Franchi, il nuovo manager, il paziente Signorini che ti allenava per quel poco che poteva fare nel garage di via Scipione Capece, Claudia e le due bambine. Allegro come se tutto filasse liscio e travestito da indiano, un’altra tua originale provocazione. In campo prendevi il fango da terra e te lo spalmavi sul viso. Eri proprio il “pazzariello” che stava nel nostro cuore.

Parlasti con Bigon che ormai attaccavi ripetutamente. Rimanesti mezz’ora sul campo di Soccavo e, a sorpresa, cominciasti quei tuoi palleggi di incantesimo, un vero show, accompagnato dall’allegria degli altri azzurri, molti dei quali suonavano i “bonghi” regalati da Pino Daniele, il cantautore sublime. Careca e De Napoli furono i più scatenati.

Sapevi sempre sorprenderci, pibe. Finito il tuo personale allenamento, arrivò Ferlaino sulla Mercedes. Avevamo tutti il fiato sospeso. Che cosa sarebbe successo? Eravamo sotto Natale e, a Soccavo, era stata organizzata una festa per lo scambio dei doni. Il presidente regalò un telefono portatile a tutti gli azzurri, ma tu non c’eri, ti tenesti lontano, te ne andasti.

Si trasferirono tutti al “San Paolo” per un incontro con i tifosi e là apparisti a sorpresa con la tua eterna baldanza. Andasti incontro a Ferlaino e gli stringesti la mano. La più grande commedia del secolo. Ricevesti dal presidente il tuo premio e dicesti al microfono: “Sono legatissimo a voi, non credete a quello che scrivono i giornali perché quelle cose io non le penso”.

Attore inimitabile, incantatore unico, paladino di una sfrontatezza unica, Diego stregone. Sul punto delle rotture più clamorose, ti offrivi a recuperi da impazzire. L’anno prima, dopo la conquista del secondo scudetto, avevi detto: “Ora sono troppo vecchio per andar via”.

Alla domenica, battemmo la Lazio. Non significò granché per la classifica. Il Napoli portava lo scudetto sul petto, ma lo stava mollando domenica dopo domenica. Perdemmo a Torino con la Juve e a Bologna. Il 1991 non portò segni di riscossa. Incappavamo in pareggi irritanti.

A metà marzo, eravamo lontani 12 punti dalla vetta. La Sampdoria dominava. Delusi, non sapevamo ancora che il peggio doveva ancora venire.

Continua

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19/3/2005
  
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