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La vera offesa è il vittimismo
di Vittorio Del Tufo (da: il Mattino del 21.04.2017)
Ci autodenunciamo. Abbiamo offeso Napoli, siamo pronti a pagare.

Abbiamo peccato di lesa maestà, non cerchiamo scuse né attenuanti, e neppure intendiamo inalberare il vessillo del diritto di cronaca.

Anzi, vi rinunciamo subito e ci consegniamo al minculpop, abbiamo sentito parlare di moduli e contro moduli, dov’è che si firma?

Ricordiamo di aver definito più volte via Marina «una vergogna a cielo aperto» e la Villa Comunale un «cadavere putrescente», per non parlare dello spaventoso degrado della Galleria Umberto, che se ne cade a pezzi nell’indifferenza di chi dovrebbe proteggerla.

Una «cicatrice sul volto della città»: roba da querela. Abbiamo sparato spesso a palle incatenate contro una certa deriva della napoletanità più becera, come il miracolo di San Gennaro trasformato in un fenomeno da baraccone nel giorno della visita di Papa Francesco e del siparietto del cardinale Sepe con le monache di clausura: «Ueeeee ma arò jate, mannaggia... E chelle s’o mangiano, a n’atu poco».

È del tutto evidente che ci siamo spesso resi complici, a nostra insaputa, di un complotto dalla dimensioni planetarie, ovviamente con la regia dei Poteri Forti, contro la città e la sua immagine, che deve rifulgere - e rifulgerà – a dispetto di tutti coloro che osino mettere in discussione ogni suo primato, passato presente e futuro.

Neanche a Tommasino Cupiello piaceva ‘o presepe: anche quella fu lesa maestà?
E la carta sporca di Pino Daniele?
E il fujtevenne di Eduardo?

Tutte offese meritevoli di segnalazioni allo sportello del Comune? Fioccano le segnalazioni, in queste ore, sul web. Tutti a sganasciarsi dalle risate.

E invece la questione, percerti versi, è maledettamente seria. Il vero problema di questa genialata dello sportello «Difendi la città», che nelle intenzioni del sindaco dovrebbe trasformarsi in uno scudiscio contro chi offende e diffama Napoli, non è la sua efficacia, e nemmeno la sua applicabilità.

Ovviamente non vedrà mai la luce, così come molte delle iniziative rivoluzionarie annunciate dal sindaco e impantanatesi nelle secche del sol dell’avvenire.

Suvvia, non siamo riusciti ad attivare un micragnoso numero verde contro i parcheggiatori abusivi, pensiamo davvero di tenere in piedi un ufficio-delazioni con tanto di personale impegnato a lavorarci?

No, il vero problema del minculpop arancionecè che, forse involontariamente, solletica e alimenta un sentimento assai pernicioso, dal quale faremmo bene a distaccarci tutti e una volta per tutte: quello del vittimismo.

Non se ne può più del vittimismo. Perché il vittimismo è un sentimento che a lungo andare rischia di produrre molti danni. Innanzitutto, è pericoloso il vittimismo delle classi dirigenti, di coloro cioè che dovrebbero occuparsi del bene pubblico. Perché li autorizza a nascondere i problemi, a gettare fumo negli occhi, a tenere aperto il centro studi del populismo h24, a coprire l’inefficienza dell’azione amministrativa dando sempre e comunque la colpa agli altri, dal governo ladro che non si accolla i debiti e non mette mano al portafoglio a questa misteriosa Spectre che congiurerebbe contro la città mettendosi di traverso rispetto al suo afflato rivoluzionario.

In secondo luogo, il vittimismo è pericoloso perché rischia di trasformarci in un popolo di permalosi e di piagnucolosi, finendo con il ledere proprio l’immagine che si pretende di tutelare. Rischiamo di trovarci appiccicato addosso un marchio di «crociati» - noi contro tutti, tutti contro di noi – e un sentimento quasi primitivo di ancestrale difesa del nostro territorio e della nostra superiorità.

Tutti hanno a cuore l’immagine della città, ma su questo concetto bisognerebbe intendersi.

A De Magistris va riconosciuto il merito di essere riuscito, come pochissimi altri prima di lui (il Bassolino della prima stagione da sindaco) a soffiare sull’orgoglio della città e a cementarne il senso di comunità e di appartenenza.

Ma l’immagine non è un totem che si difende con la carta bollata o con gli spot pubblicitari. Né seminando le tossine del vittimismo o indulgendo al rito dell’autoflagellazione. O organizzando parate come quella dell’«orgoglio terrone» che dovrebbe svolgersi il 22 aprile a Pontida.

Smettiamola di vedere nemici dappertutto. Se ci teniamo tanto all’immagine della città, difendiamola con il rispetto delle regole, con la civiltà dei comportamenti e con l’esercizio limpido e virtuoso dell’azione amministrativa di ogni giorno, magari portando a compimento i progetti avviati e provando a tirar fuori dal cilindro un’idea di sviluppo, e non soltanto numeri da prestigiatore.
21/4/2017
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